È un luogo che chiede continuità, non celebrazione. Che rifiuta la retorica, ma invita alla pratica. Che tiene insieme ciò che il neoliberismo vuole separare: cura e conflitto, festa e politica, memoria e futuro. Da questo ventre – che custodisce la vulnerabilità come forza e la contraddizione come seme – scioperiamo.
Scioperiamo perché la precarietà è diventata la nostra condizione esistenziale: un meccanismo di disciplinamento più che una semplice forma di lavoro. Scioperiamo perché il diritto all’abitare è stato sequestrato dalla rendita, trasformando le città in scenografie di lusso dove non possiamo più permetterci di vivere — Firenze in testa, diventata un luna park per il turismo globale, svuotata di relazione e quotidianità. Scioperiamo per le vite che non stanno più nelle categorie dello sciopero, ma che sono le prime a essere colpite: giovani precarizzatə, lavoratrici invisibili, persone razzializzate, artistə e operatori/trici della cultura, soggettività LGBTQIA+, chi vive e lavora nei territori marginalizzati, chi resiste nelle fabbriche sotto attacco.
Scioperiamo perché sappiamo che le alternative ci sono e sono già qui: nei collettivi uniti della Wish Parade, nei presidi dell’ex-GKN per una re-industrializzazione sostenibile dal basso, nei campi di Mondeggi, negli spazi autogestiti che diventano comunità, nell’immaginazione politica che ha fatto rinascere la Venere Biomeccanica dopo vent’anni. Nelle strade, nelle piazze, nei parchi, nelle assemblee intergenerazionali che non si affidano alla nostalgia ma alla possibilità. Scioperiamo perché la forza dei movimenti sta nel loro incontro nella lotta. Per questo provano a dividerci, a criminalizzare, a trasformare la socialità in problema di ordine pubblico, a farci sentire solə, scoraggiatə, isolate.
Ma noi non siamo sole. Dal ventre della Venere sappiamo che la città è ancora un campo di possibilità. Sappiamo che si può riaprire ciò che è stato chiuso, restituire ciò che è stato espropriato, riattivare ciò che è stato reso sterile. Sappiamo che la socialità non è un lusso, né un rischio, né un fastidio: è il cuore politico dell’esistenza. Scioperiamo perché la nuova finanziaria è una finanziaria di guerra. Perché mentre tagliano sanità, scuola, servizi sociali e trasporti, il governo aumenta la spesa militare e normalizza l’idea che il futuro sia fatto di confini blindati e eserciti rafforzati.
Scioperiamo perché non accettiamo che il nostro lavoro e le nostre vite finiscano a sostenere la violenza invece che la cura. Scioperiamo anche perché l’emergenza climatica non è un capitolo della crisi: è la crisi. È il tema dei temi, quello che rende urgente tutto il resto. Perché senza giustizia climatica non c’è giustizia sociale: non c’è casa, non c’è lavoro, non c’è salute, non c’è città. Vediamo territori bruciare, città sommerse, comunità spazzate via, mentre chi governa continua a spingere su cementificazioni, grandi opere inutili, speculazioni energetiche e fondi fossili. Scioperiamo perché la vita sul pianeta — non metaforicamente, ma concretamente — è ciò che stiamo perdendo.
Scioperiamo perché non c’è giustizia sociale senza giustizia internazionale. Perché l’autodeterminazione dei popoli non è un ricordo: è l’asse del presente. Scioperiamo con lo sguardo rivolto alla Palestina, dove un popolo resiste a un genocidio sotto gli occhi del mondo, mentre l’Europa e l’Italia scelgono la complicità politica, economica e militare. Scioperiamo perché non vogliamo essere complici. Perché sappiamo che chi opprime un popolo altrove opprime anche noi qui.
Scioperiamo allora dal ventre della Venere, perché è da lì che nasce la possibilità di ricomporre le lotte: contro la precarietà e contro la guerra, contro la speculazione e contro il colonialismo, contro la repressione nelle strade e contro l’occupazione dei territori, contro la devastazione climatica e chi continua a trarne profitto. Da lì – da questo ventre generativo – sappiamo che la solidarietà non è un gesto morale, ma una pratica politica che costruisce ponti, connessioni, insorgenze.