Il corpo non è mai neutro. È un campo di battaglia, un archivio di violenze e desideri, una mappa di confini imposti e frontiere sfondate. Parlare di corpi oggi significa smascherare l’ipocrisia di un potere che li vuole docili: corpi divisi per genere, razza, classe; corpi medicalizzati, criminalizzati, resi merce o bandiera.
Attraverseremo la pelle per arrivare al cuore politico della questione: come trasformare il corpo da luogo di controllo a spazio di liberazione? Le leggi transfobiche, il pacchetto sicurezza, l’ossessione per la famiglia tradizionale convergono verso un obiettivo: disciplinare la carne. Come scrive Judith Butler, il corpo è sempre un fatto culturale, anche quando ci viene venduto come “natura”.
Spazi che rifiutano la logica del possesso, relazioni che sfuggono alle gerarchie, corpi che resistono alle catalogazioni. Esperienze radicali che dimostrano: esistono modi di vivere oltre le norme.
Silvia Federici ci ha insegnato che il capitalismo ha bisogno di corpi addomesticati. La nostra risposta è selvaggia: corpi che si riappropriano del piacere, del tempo, delle relazioni. Perché – come scrive Brigitte Vassallo – “l’amore è politico quando smette di essere privato”.
Dopo anni di lotte, il Cecco è ancora qui a chiedersi: quanto possiamo spogliarci, prima di trovare ciò che siamo davvero?